sabato 20 dicembre 2014

Natale Armena

Buon Anno e Buon Natale

Sì, avete capito bene, buon Anno e buon Natale e non viceversa, perché in Armenia viene prima il Capodanno e poi il Natale.
Il Natale è il culmine delle celebrazioni legate all'incarnazione di Cristo, il tema centrale in ogni Chiesa. Quella armena, chiamata Chiesa armena apostolica illuminata, festeggia l'importante festa cristiana il 6 gennaio.

Spesso ci si chiede perché la Chiesa armena e quella ortodossa non celebrano il Natale il 25 dicembre. Fino al IV secolo la natività veniva festeggiata da tutte le chiese il 6 gennaio, poi la data è stata spostata al 25 dicembre. In primo luogo, perché la Chiesa voleva imporsi su una festa pagana dedicata alla nascita del sole, che veniva celebrata proprio in quel giorno. Dato che la gente era già abituata a festeggiare il giorno 25, sarebbe stato più semplice così far dimenticare le loro festività pagane. La Chiesa armena non ha applicato alcun cambiamento di data in quanto il cristianesimo era la religione ufficiale già a partire dal 301 e le feste pagane non rappresentavano un serio pericolo di identità, oltretutto, non dipendendo dalla Chiesa romana, non era obbligata ad accettare i cambiamenti di date delle feste ufficiali. La Chiesa armena celebra il Natale anche in Terra Santa, a Gerusalemme.

In Armenia le vacanze invernali iniziano con i festeggiamenti per l'anno nuovo. Anche la data di inizio anno ha subito negli anni dei cambiamenti. Ai tempi del paganesimo, si considerava l'11 agosto come primo giorno del nuovo anno, il tempo del raccolto. Nel XVIII secolo si è poi spostato al 1 gennaio. Molte regioni dell'Armenia hanno continuato a celebrare il capodanno in agosto fino a quando, gradualmente, alla fine del XX secolo, tutti gli armeni hanno adottato il 1 gennaio come primo giorno del nuovo anno.

Anche in Armenia i giovani aspettano i festeggiamenti dell'ultimo dell'anno ("Amanor" in armeno). Si crede che celebrare il tradizionale Amanor in armonia con la natura e con se stessi porti successo e benessere per il nuovo anno. Così, ciascuna famiglia fa del suo meglio per riunirsi il primo giorno dell'anno attorno ad una tavola imbandita, ricca di cibo, come segno di buon auspicio per tutto l'anno. Le tavole sono preparate con frutta fresca e frutta secca, nocciole, dolci, ecc.. Ci sono molte tradizioni tipiche nelle diverse zone dell'Armenia, come ad esempio donare mele con delle monete, simbolo della vita. I dolci più importanti che vengono serviti sono delle torte rotonde con una moneta nascosta al loro interno: colui che trova la moneta sarà il portafortuna della famiglia. Poi c'è il gata, un pane dolce che ha bisogno di diversi giorni di preparazione prima di essere mangiato. Degno di nota anche la dolma preparato con le foglie d'uva , sujux (salsicce speziate), basturma (fette di carne molto fini rivestite di pasta speziata), Il piatto forte può essere composto da kabab (polpettine di carne fritte) accompagnate da verdure (bamia). Sulla tavola si può trovare anche una faraona o un tacchino.
 
Alla fine del pasto vengono serviti i dolci: il più tipico pakhlava (sfoglia di noci e mandorle, tagliata preferibilmente a rombi, preparata con la pasta fillo, nota anche in Grecia con il nome di baklava) che costituisce il grande classico riservato ai giorni di festa, dato che la sua preparazione è molto lunga. Insieme ai dolci, si serve anche il caffè e sulla tavola si lascia della frutta secca e fresca, come arance e mandarini, che rimangono a disposizione fino alla fine della festa.
In passato, alla vigilia di Natale i bambini usavano riunirsi nelle strade del villaggio per cantare al nuovo anno andando a salutare il vicinato, ricevendo in cambio frutta e doni.
Seppur in modo minore, gli armeni celebrano ancora il cosiddetto "Vecchio anno nuovo", il 13 gennaio, che era l'ultimo giorno dell'anno secondo il calendario giuliano.
La festa di Natale del 6 gennaio è più di carattere religioso, non così pomposa come nei paesi cattolici. Principalmente si mangiano pesce e uova, ma il piatto tradizionale è l'harisa, pollo e frumento. Si va a messa la mattina, e se l'anno precedente nella famiglia c'è stato un defunto, ci si reca a visitarne la tomba.

Non mi resta che augurare a tutti gli Armeni: SHNORHAVOR NOR TARI !  



È Natale
Tutti gli altri paesi che festeggiano il Natale il 7 gennaio appartengono alla grande famiglia del cristianesimo orientale ortodosso (anche se alcune chiese ortodosse, come quella greca, festeggiano il Natale il 25 dicembre come i cattolici). Il motivo dell’esistenza di questa “linea del Natale” che separa con una certa precisione cattolici e protestanti da un lato e cristiani orientali e ortodossi dall’altro risale a Giulio Cesare e ha a che fare con un anno composto da 365 giorni e un quarto e ai giorni dal 5 al 14 ottobre 1582, che non sono mai esistiti.

Partiamo dall’inizio: più o meno tutti noi siamo convinti che quello che noi chiamiamo “anno” sia composto da 365 giorni e da 366 ogni quattro anni. Ma questo non è esatto: questa era la durata del cosiddetto calendario giuliano, che venne abbandonato circa 500 anni fa. Sul nostro calendario attuale torneremo più avanti. Mentre, a proposito del calendario giuliano, bisogna ricordare che venne elaborato nel primo secolo avanti Cristo dall’astronomo greco Sosigene di Alessandria. Nel 46 a. C., Giulio Cesare, in qualità di pontefice massimo – cioè supremo sacerdote di Roma che aveva l’incarico, tra le altre cose, di tenere il conto ufficiale degli anni – decise di adottarlo come calendario ufficiale.

All’epoca, o comunque di lì a poco, Roma avrebbe dominato direttamente o indirettamente tutto il bacino del Mediterraneo e qualcosa anche oltre, diffondendo insieme alle strade, le terme e le fogne, anche il suo calendario giuliano. Avere un unico calendario valido per tutto il mondo conosciuto era certamente un vantaggio per tutti, ma il calendario voluto da Giulio e e inventato da Sosigene aveva anche un grosso difetto.

Un anno giuliano aveva una durata media di 365 giorni e sei ore, cifra ottenuta facendo la media tra 3 anni da 365 giorni e uno da 366. Il problema era che un anno, secondo le osservazioni astronomiche, è lungo in media 365 giorni, 5 ore e poco meno di 50 minuti, cioè è più breve di 11 minuti e qualche secondo. Questo significava – e all’epoca già si sapeva – che ogni 128 anni il calendario giuliano si sarebbe ritrovato in ritardo di un giorno rispetto alla posizione del Sole (che alla fin fine è quello che il calendario misura). Si arrivò così al 1582 in cui, secondo le osservazioni astronomiche, la primavera era già cominciata quando il calendario segnava ancora l’11 marzo.

Avere solstizi ed equinozi nei giorni sbagliati del calendario, però, non era il problema principale. Ciò che fece decidere per un cambiamento di calendario fu che risultava sbagliato il calcolo della Pasqua e quindi le celebrazioni non venivano più officiate nel giorno giusto. A prendere la decisione di cambiare le regole fu papa Gregorio XIII, che impose il calendario che usiamo ancora oggi, il calendario gregoriano.

La riforma di Gregorio fu piuttosto drastica. Per recuperare i giorni perduti venne stabilito che dopo venerdì 4 ottobre si sarebbe passati direttamente a sabato 15: i dieci giorni di mezzo, in un certo senso, non sono mai esistiti. Questo però non risolveva il problema della durata media dell’anno. Per evitare di perdere altri dieci giorni nel migliaio di anni successivo venne stabilito che gli anni multipli di cento sarebbero stati bisestili soltanto se fossero stati multipli anche di 400.

Il 2000 è stato un anno bisestile, quindi. Il 1900 non lo è stato e non sarà bisestile nemmeno il 2100. Secondo il calendario giuliano, e secondo la nozione comune per cui gli anni bisestili cadono ogni quattro anni, gli anni “tondi” avrebbero invece dovuto essere tutti bisestili come il 2012. Con il nuovo calendario l’errore annuale veniva ridotto da 11 minuti e qualcosa a soli 26 secondi: il calendario gregoriano, quindi, necessita di correzioni soltanto una volta ogni 3.323 anni.

Si trattava di un gran passo avanti, ma c’era un altro grosso problema, questa volta di natura storica e religiosa. All’epoca di Gregorio, la fine del Cinquecento, l’Europa era ormai saldamente divisa tra cattolici, luterani e calvinisti, mentre l’Europa orientale era quasi tutta, da più di cinque secoli, di religione ortodossa. Chi non era cattolico non vedeva di buon occhio le novità che arrivavano da Roma. La riforma venne subito adottata dai paesi cattolici e dai territori ad essi sottoposti: Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Polonia, Belgio, Paesi Bassi e gran parte della Germania meridionale. I paesi protestanti si adattarono soltanto nel corso del 18° secolo, quando le rivalità religiose si erano affievolite e quando ormai gli scambi frequenti tra i paesi avevano reso avere due calendari diversi una vera seccatura.

I paesi ortodossi rimasero i soli a seguire il calendario giuliano, per almeno un paio di motivi. Erano molto più lontani e quindi avevano molti meno rapporti con i paesi che avevano adottato la riforma, e quindi la discrepanza tra i due calendari portava a meno equivoci, anche se qualche problema lo causò comunque: nel 1805, mentre facevano la guerra a Napoleone, Austriaci e Russi pasticciarono con le date dei due calendari, mancarono un incontro e facilitarono il lavoro a Napoleone che li sconfisse prima ad Ulm e poi nella famosa battaglia di Austerlitz.

Il secondo motivo fu che lo scisma tra la chiesa orientale e quella cattolica, avvenuto poco dopo l’anno Mille – la data convenzionale è il 1054 – venne fondamentalmente causato dal fatto che a Oriente non volevano riconoscere la supremazia del Papa. Per gli ortodossi era molto difficile accettare di compiere i loro riti sulla base di un calendario introdotto proprio dal Pontefice. A Oriente si mantenne il vecchio calendario e il divario di giorni salì nel corso dei secoli da 10 a 13. Il calendario gregoriano venne introdotto in Russia soltanto in seguito alla Rivoluzione d’Ottobre, nel 1917: che in realtà, secondo il nostro calendario, dovrebbe chiamarsi rivoluzione di novembre.

Ma numerose chiese ortodosse, in particolare quelle più legate al patriarcato di Mosca, come quella ucraina, georgiana e bulgara, non accettarono mai il calendario del Papa di Roma, quindi continuano a festeggiare il Natale 13 giorni dopo la data gregoriana, cioè il 7 gennaio (le altre feste “scalano” di conseguenza: l’Epifania è il 19 gennaio).

E allora gli armeni, che lo festeggiano il 6 gennaio? Si tratta di una storia ancora diversa, che non ha nulla a che fare con il calendario. Nei Vangeli non si parla della data della nascita di Cristo e per tutti i primi secoli di storia del cristianesimo vennero usate date diverse per la Natività. Queste date venivano spesso scelte perché coincidevano con festività preesistenti. Le due più usate erano il 25 dicembre e il 6 gennaio. Nel sesto secolo un imperatore romano decise di fare ordine e stabilì che il giorno giusto era il 25 dicembre. All’epoca però, l’Armenia era piuttosto oltre la portata di Roma e quindi vennero mantenute le antiche tradizioni, per cui Natività ed Epifania si festeggiano lo stesso giorno: il 6 gennaio.

Quindi, ricapitolando: gli ortodossi accettano il 25 dicembre come data del Natale, ma il loro calendario delle festività – il calendario liturgico – è indipendente da quello civile e basato sull’antico calendario giuliano, per cui festeggiano il Natale 13 giorni dopo di catolici. Il risultato concreto è che festeggiano il 7 gennaio. Gli armeni da tempo antico sostengono che Natale sia il 6 gennaio e hanno accettato il nostro calendario, quello gregoriano. C’è un’ultima cosa da dire: a Gerusalemme invece vige ancora il giuliano, per cui va a finire che si festeggia il Natale… il 19 gennaio (6 gennaio + la differenza di 13 giorni). Tra l’altro gli armeni – e solo loro – festeggiano il Natale e l’Epifania insieme, il che ha senso, visto che niente vieta di pensare che i Magi siano arrivati da Gesù la sera stessa della sua nascita.

Rimane l’ultima :  si scambiano i regali sotto l’abete il 7 gennaio? Gli ucraini ortodossi si scambiano i regali la sera della vigilia di Natale, quindi  6 gennaio, così come fanno in Georgia. In entrambi i paesi si usano alberi addobbati; in Ucraina a portare i regali sono gli angeli, mentre in Georgia è Nonno Neve. Ma non sempre il tradizionale scambio di regali annuale coincide con il Natale. In Russia, ad esempio, il Natale è una festa esclusivamente religiosa. I regali si scambiano sotto un abete addobbato la sera del 31 dicembre, quando la tradizione vuole che passi di casa in casa la versione russa di Babbo Natale: Ded Moroz, o Nonno Gelo.





Non mi resta che augurare a tutti gli catolichi, ortodosi, apostolci e protestanti in Armeno : 

SHNORHAVOR NOR TARI EV SURB C'NUND

ՇՆՈՐՀԱՎՈՐ ՆՈՐ ՏԱՐԻ ԵՎ ՍՈՒՐԲ ԾՆՈՒՆԴ






Dolci tipici armena



















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