Come ogni anno il 24 aprile è avvenuta l'annuale commemorazione del genocidio da parte della comunità armena sparsa in tutto il mondo. A Yerevan, in Armenia, centinaia di migliaia di persone hanno partecipaոo alle manifestazioni ed alle cerimonie svoltesi. Nel resto del mondo tutte le altre comunità hanno egualmente ricordaոo il genocidio in sintonia con quanto auspicato dalla Chiesa Armena.
In Italia le cerimonie principali si sono svolte a Milano, Venezia, Roma, Bari, Napoli, Padova, Taranto, i cui componenti rimangono, tra molte difficoltà, ancora legatissimi alla propria terra, alle proprie storia, lingua e tradizione. Ho potuto vedere ed ascoltare persone che, non ricercano vendetta o rivalsa ma solo il giusto riconoscimento per le immense sofferenze che il destino ha, da sempre, loro riservato.
Il Genocidio degli Armeni
Una delle pagine più oscure, ed al tempo stesso meno divulgate, della storia del XIX secolo é quella del genocidio perpetrato dall'Impero Ottomano prima e dai Giovani Turchi poi, ai danni delle popolazioni armene stanziate da sempre sul territorio che comprendeva la parte nord-orientale dell'attuale Turchia e sulle terre a nord dell'Impero Persiano su fino alle cime del Caucaso. Ed infatti la storia ci racconta di una nazione eternamente contesa e frazionata tra molti grandi imperi, Persiano, Ottomano, Russo e continuamente devastata ed angariata da frotte di invasori quali i Turchi Selgucidi od i Mongoli.
Tratto da "Il Sole Delle Alpi" anno 1998. |
Le radici di questo popolo affondano già nel primo millennio a.C. quando, nel VII secolo gli armeni giunsero dalla Frisia, anche se la loro presenza nella regione anatolica è testimoniata da documenti storici già verso il 3000 a.C. Qui si fusero con la popolazione hurrita discendente degli antichi regni. Questa zona, però, era di fondamentale importanza per il controllo delle vie di comunicazione tra Oriente ed Occidente ed il suo possesso fu a lungo conteso dalle maggiori potenze militari dell'epoca. Gli armeni videro perciò passare sulle loro terre persiani, greci, romani ed arabi ma, anche grazie alla rivalità esistenti tra le varie potenze, riuscirono a sopravvivere ad ognuna di esse ed a raggiungere in alcuni momenti della sua storia, la piena indipendenza.
Tra il IV ed il VI secolo il popolo armeno definisce le caratteristiche che lo identificheranno in futuro abbracciando come religione di stato il cristianesimo (primi al mondo nell'anno 301) nella loro particolare visione monofisita e fissando come propria lingua l'armeno. Queste particolarità contribuiranno al mantenimento della propria autonomia culturale e politica, sopratutto nei riguardi dell'occidente e della Chiesa Romana, ma, al tempo stesso isoleranno l'intera nazione dai paesi confinanti arabi di fede musulmana.
Nell'undicesimo secolo l'invasione dei Turchi Selgucidi mette in ginocchio il paese e costringe parte della popolazione alla fuga in Cilicia; seguiranno però tre secoli di relativa pace, rotta, all'inizio del XVI secolo, dall'invasione ottomana che occupa la parte occidentale dell'Armenia mentre quella orientale resta sotto il dominio persiano. L'Impero Ottomano non attua una politica marcatamente repressiva nei confronti delle minoranze interne ma impone comunque, su tutto il suo territorio, la Sharia, la legge coranica, quale unica fonte di diritto, ed il popolo armeno, in quanto cristiano, dovette subire pesanti discriminazioni.
L'inizio del genocidio.
Fino al XVIII secolo la condizione armena non segna sostanziali modifiche ma l'avvio del declino della potenza ottomana e la nascita del sentimento nazionale armeno, contemporaneamente alla conquista dell'indipendenza del popolo greco, aprono possibilità fino ad allora sconosciute. La contemporanea sollevazione dei popoli caucasici a reclamare la propria indipendenza e l'annessione da parte dell'Impero Russo dell'Armenia Orientale, concorrono a spezzare gli equilibri esistenti. Inoltre anche le maggiori potenze europee, ansiose di accrescere i propri interessi nell'area, premono sull'Impero pretendendo delle riforme interne che la Sublime Porta si vede costretta a prendere in considerazione. In questo clima effervescente l'azione armena si esplica su due fronti: il primo a Costantinopoli, dove il Patriarcato Armeno solleva la questione del riconoscimento della specificità armena, il secondo in Armenia dove nascono i primi partiti rivoluzionari armeni clandestini. Il Sultano Abdul Hamid II, preoccupato dall'attivismo armeno ed anche dallo sviluppo economico che questo popolo sta vivendo, decide di mettere alla prova le titubanti potenze straniere punendo la popolazione armena con l'esecuzione di alcuni pogrom durante i quali vengono uccisi 300.000 armeni nel periodo compreso tra il 1895 ed il 1897.La reazione armena consiste nell'intraprendere la guerriglia e nella creazione della Federazione Rivoluzionaria Armena, detta anche Dachnak, con basi nella vicina Armenia Russa e fortemente sostenuta dalle popolazioni locali.
I Giovani Turchi
Una nuova speranza, presto disillusa, nasce quando anche il potere imperiale giunge al collasso e prende sempre più forza il movimento rivoluzionario dei GiovaniTurchi, caratterizzati da un forte nazionalismo turco. Essi sembrano intenzionati ad abbattere il sistema imperiale per poi creare una federazione di tutti i popoli precedentemente inclusi nell'Impero. Ovviamente le concezioni di nazionalismo turco e di una federazione ottomana sono decisamente antitetiche e questo porterà a considerare l'elemento armeno come un pericolo interno da combattere ed annientare. Già nel 1909 avvengono i primi massacri: in Cilicia 30.000 armeni vengono uccisi dalle forze del loro partito Ittihad ve Terakki (Unione e Progresso). Tutto ciò fu conseguenza dell'ideologia che aveva ormai impregnato l'intero partito, formata da un' intreccio di panturchismo, caratterizzato da tratti nazionalisti-irredentisti, e Turanismo. L'unione tra indipendenza nazionale e purezza razziale furono la premessa per la conquista dell'allora provincia russa dell'Azerbaigian. Tra essa e la Turchia vi erano però proprio in mezzo le terre armene. Questa nuova campagna di conquista fornisce ai Giovani Turchi la giustificazione per l'eliminazione del "pericolo armeno".
L'eliminazione sistematica prende l'avvio nel 1915, quando i battaglioni regolari armeni vengono disarmati, riuniti in gruppi di lavoro ed eliminati di nascosto. Il piano turco, pensato e diretto dal Ministro dell'Interno Talaat, prosegue poi con la soppressione della comunità di Costantinopoli ed in particolare della ricca ed operosa borghesia armena: tra il 24, che resta a segnare la data commemorativa del genocidio, ed il 25 aprile, 2345 notabili armeni vengono arrestati mentre tra il maggio ed il luglio del 1915 gli armeni delle province orientali di Erzerum, Bitlis, Van, Diyarbakir, Trebisonda, Sivas e Kharput vengono sterminati. Solo i residenti della provincia di Van riescono a riparare in Russia grazie ad una provvidenziale avanzata dell'esercito sovietico. Nelle città viene diffuso un bando che intima alla popolazione armena di prepararsi per essere deportata; si formano così grandi colonne nelle quali gli uomini validi vengono raggruppati, portati al di fuori delle città e qui sterminati. Il resto della popolazione viene indirizzato verso Aleppo ma la città verrà raggiunta solo da pochi superstiti: i nomadi curdi, l'ostilità della popolazione turca, i tchété e le inumane condizioni a cui sono sottoposti fanno si che i deportati periscano in gran numero lungo il cammino. Dopo la conclusione delle operazioni neppure un armeno era rimasto in vita in queste province.
La seconda parte del piano prevedeva il genocidio della popolazione armena restante, sparsa su tutto il resto del territorio. Tra l'agosto del 1915 ed il luglio del 1916 gli armeni catturati vengono riuniti in carovane e, malgrado le condizioni inumane cui vengono costretti, riescono a raggiungere quasi integre Aleppo mentre un'altra parte di deportati viene diretta verso Deir es-Zor, in Mesopotamia. Lungo il cammino, i prigionieri, lasciati senza cibo, acqua e scorta, muoiono a migliaia. Per i pochi sopravvissuti la sorte non sarà migliore: periranno di stenti nel deserto o bruciati vivi rinchiusi in caverne.
A queste atrocità scamperanno solo gli armeni di Costantinopoli, vicini alle ambasciate europee, quelli di Smirne, protetti dal generale tedesco Liman Von Sanders, gli armeni del Libano e quelli palestinesi.
Il consuntivo numerico di questo piano criminale risulta alla fine:
da 1.000.000 a 1.500.000 di armeni vengono eliminati nelle manieri più atroci. In pratica i due terzi della popolazione armena residente nell'Impero Ottomano è stata soppressa e, regioni per millenni abitate da armeni, non vedranno più, in futuro, nemmeno uno di essi.
circa 100.000 bambini vengono prelevati da famiglie turche o curde e da esse allevati smarrendo così la propria fede e la propria lingua.
Su tutte valga la testimonianza del Console italiano Giovanni Gorrini che così scrisse:
"Dal 24 giugno non ho più dormito ne mangiato. Ero preso da crisi di nervi e da nausea al tormento di dover assistere all'esecuzione di massa di quegli innocenti ed inermi persone. Le crudeli cacce all'uomo, le centinaia di cadaveri sulle strade, le donne ed i bambini caricati a bordo delle navi e poi fatti annegare, le deportazioni nel deserto: questi sono i ricordi che mi tormentano l'anima e quasi fanno perdere la ragione."
Anche l'intervento della Santa Sede tramite il Papa Benedetto XV non produsse alcun effetto, in funzione anche del fatto che i turchi avevano proclamato la guerra santa.
Successivamente, approfittando degli sconvolgimenti in corso in Russia a causa della rivoluzione, gli armeni sotto il controllo dell'impero zarista si ribellano e, il 28 maggio 1918, dichiarano la propria indipendenza. In seguito, dopo la presa di alcuni territori nell'Armenia turca, verrà proclamata la nascita della Repubblica Armena. Durante i lavori del Trattato di Sevrès venne perfino riconosciuta l'indipendenza al popolo armeno e la sua sovranità su gran parte dei territori dell'Armenia storica ma, come altre volte in futuro, tutto resterà solo sulla carta. Infatti il successivo Trattato di Losanna (1923) annullerà il precedente negando alle popolo armeno persino il riconoscimento della sua stessa esistenza.
La caduta del regime turco alla fine della Grande Guerra e la seguente ascesa alla guida del paese di Kemal Ataturk non cambiò la situazione. Infatti, tra il 1920 ed il 1922, con l'attacco alla Cilicia armena ed il Massacro di Smirne, il nuovo governo portò a compimento il genocidio. Dopo questi ultimi crimini non un solo armeno vivo lasciò traccia in Turchia.
Due giorno dopo il massacro del 30 ottobre 1895 a Erzerum: fossa per seppellire le vittime armene. |
Una donna armena e i suoi bambini durante la deportazione (foto di Armin Wagner). Fotografie tratte dal volume "Breve storia del genocidio degli armeni" di Claude Mutafian e Metz Yeghérn. |
La disfatta ottomana nella grande Guerra spinse i principali responsabili del genocidio ad abbandonare il paese e molti di essi fuggirono in Germania. A loro carico venne intentato un processo svoltosi nel 1919 a Costantinopoli sotto la direzione di Damad Ferid Pascià. Lo scopo non era evidentemente quello di rendere giustizia al martoriato popolo armeno ma di addossare le colpe dell'accaduto sulle spalle dei Giovani Turchi discolpando al tempo stesso la nazione turca in quanto tale. Il risvolto pratico del processo fu minimo in quanto, nei confronti dei condannati, non vennero mai presentate richieste di estradizione e successivamente i verdetti della corte vennero annullati. L'importanza del procedimento sta comunque nel fatto che, durante il suo svolgimento, vennero raccolte molte testimonianze che descrivono le varie fasi del genocidio a partire proprio dalle dichiarazioni di chi ne era stato artefice.
Vennero così freddati Behaeddin Chakir, Djemal Azmi (il boia di Trebisonda), Djemal Pascià (componente del triumvirato dirigente dei Giovani Turchi) e l'ex Ministro degli Interni Talaat ucciso per le strade di Berlino il 15 marzo del 1921 da Solomon Tehlirian. In quest'ultimo caso le colpe a carico di Talaat emerse durante il processo furono talmente terrificanti da far assolvere Tehlirian per l'omicidio da lui compiuto.
L'Armenia attuale
Durante e dopo l'attuazione del piano criminale turco gran parte degli scampati e dei sopravvissuti furono costretti all'esilio ed alla diaspora. Nel 1991 a seguito della dissoluzione dell'URSS è nata la Repubblica Armena sulle ceneri dell'ex Repubblica Sovietica Armena. Il 90% dell'Armenia storica, comunque rimane sotto il controllo della Turchia che, oltre a non voler ammettere alcuna responsabilità riguardo al genocidio, rifiuta categoricamente la restituzione anche parziale dei territori da loro occupati. Nel 1989 scoppia la guerra con il vicino Azerbaigian per il controllo dell'Artzak (Nagorno-Karabach) l'enclave armena in territorio azero, che sembra essersi recentemente concluso con la conquista dell'indipendenza della provincia armena.
Recentemente i rapporti tra Curdi ed Armeni sono migliorati in seguito alle persecuzioni turche che hanno colpito entrambi i popoli ma il governo di Ankara si ostina ancora a non voler riaprire la frontiera kurdo-armena. Inoltre i rapporti tra l'Armenia e l'Azerbajan turcofono sono tuttora tesi a causa delle rivendicazioni azere sul territorio del neonato stato di Artzak e per le rivendicazioni armene sul Nakitcevan provincia affidata all'Azerbajan dal Trattato russo-turco del 1921, area che taglia i rapporti diretti tra lo Stato di Armenia e la provincia armena di Tabriz in territorio iraniano.
Il riconoscimento del Genocidio da parte della comunità internazionale
Attualmente il genocidio armeno è stato riconosciuto come realtà storica di cui la Turchia dovrà farsi carico in diverse sedi. L'ONU, anche se in sordina, lo ha fatto il 29 agosto del 1985 mentre il Parlamento Europeo si pronunciò in proposito il 18 giugno 1997. Tra le nazione attivatesi in questo senso tra le prime è stato l'Uruguay ed alcuni stati degli USA (Massacjusetts, California, New Jersey, New York, Wisconsin, Pennsylvania, RhodeIsland,Virginia ed Illinois in ordine di tempo a partire dal 1978 al 1995) mentre ne il Governo statunitense, ne il Consiglio di Stato hanno preso iniziative simili. Anche laDuma della Federazione Russa ha ufficialmente riconosciuto quanto accaduto agli armeni. Per quanto riguarda l'Italia sono state prese iniziative a livello comunale quali quelle di Milano, nel novembre '97, e recentemente di Roma. Inoltre per il giorno 31/3/2000 è stata posta all'ordine del giorno della Camera una mozione, presentata già nel '98 dall'onorevole G. Pagliarini (Lega Nord per l'Indipendenza della Padania) e sottoscritta da 165 deputati di vari partiti, che mira al riconoscimento, da parte del Governo Italiano, del genocidio armeno. Dopo lunga attesa questa mozione è stata accantonata dall'attuale maggioranza (governo Amato) definendo il momento storico-politico non opportuno per approvare il documento.
A tutt'oggi il riconoscimento del genocidio da parte della comunità internazionale sembra ancora ben lontano dall'essere una realtà ed i timidi tentativi, quali quello dell'Assemblea Nazionale Francese, di dare dignità storica ai fatti avvenuti in quegli anni sono stati tutti immediatamente insabbiati dalle inconsulte reazioni turche e dal vergognoso silenzio-assenso delle grandi potenze, primi fra tutti gli USA, che hanno sempre dato maggiore importanza ai propri interessi politici ed economici piuttosto che alla giustizia ed al rispetto di quei principi morali ai cui spesso loro stessi fanno appello e di cui si sentono custodi.
La comunità armena in Italia
In Italia la principale comunità armena, nata dalla diaspora, è quella residente a Milano, composta da un migliaio di elementi. La comunità, pur essendo perfettamente integrata nella società che li ha accolti, costituiscono una realtà molto coesa nella quale vengono mantenute vivissime le tradizioni della lingua d'origine, la religione storica e la lingua madre parlata anche dalle generazioni più giovani. Il luogo di ritrovo è situato in Piazza Velasca dove ha sede il Centro Culturale Casa Armena, in cui vi è una biblioteca con un migliaio di volumi e pubblicazioni dall'Armenia e dai membri della diaspora; nel centro sono tenuti anche corsi di lingua armena. Il luogo di culto è costituito invece dalla Chiesa Armena dedicata ai Santi Quaranta Martiri, gestita da Padre Sarkissian e consacrata dal Patriarca Armeno di Costantinopoli nel 1958. La comunità di rito armeno apostolico milanese conta circa 1.300 membri
Venezia è sede di una storica comunità, di fede cattolica, e proprio nella città lagunare è sito il monastero della Congregazione Melchitarista sull'isola di San Lazzaro, mentre, fino ad un paio di anni addietro, era attivo il Collegio degli Armeni presso il Palazzo Zenobio ora adibito a centro culturale. Anche a Roma e Torino, sono comunque presenti una laboriosa comunità.
Sono vive anche alcune associazioni quali l'Unione degli armeni d'Italia, l'Unione culturale armena, l'Unione sportiva armena e la Gioventù armena.
Infine la comunità ed il culto armeno sono stati riconosciuti ufficialmente con D.P.R. del 24 febbraio 1956, mentre dal punto di vista religioso, la Chiesa dipende dalla Diocesi di Vienna e Mitteleuropa che fa capo al Katholikos di Ecmiadzin.
TESTIMONIANZE DEL GENOCIDIO DEGLI ARMENI
Armin. T Wegnerè stato testimone oculare dello sterminio del popolo armeno iniziato a Istanbul il 24 aprile 1915con una retata che lasciò la nazione armena priva di una guida spirituale, culturale e politica. Documentò lo sterminio con le fotografie che riuscì a scattare. Fece pervenire parte del materiale fotografico in Germania e negli Stati Uniti. E ancora oggi le sue foto sono tra le testimonianze storiche più preziose di quanto avvenne in quel periodo.
“ Mi hanno raccontato che Gemal Pascià, il carnefice siriano, ha proibito, pena la morte, di scattare fotografie nei campi profughi. Io conservo le immagini di terrore e di accusa legate sotto la mia cintura...So di commettere in questo modo un attodi alto tradimento, e tuttavia la consapevolezza di aver contribuito per una piccola parte ad aiutare questi poveretti mi riempie di gioia più di qualsiasi cosa abbia fatto”
"E' a nome della Nazione Armena che io mi appello a voi, come uno dei pochi europei che sia stato testimone oculare, fin dal suo inizio, dell'atroce distruzione del Popolo Armeno nei fertili campi dell'Anatolia, oso rivendicare il diritto di farvi il quadro delle scene di sofferenza e di terrore che si sono snodate davanti ai miei occhi per circa due anni, che non si potranno mai cancellare dalla mia memoria." (Armin T. Wegner)
"... io non accuso il popolo semplice di questo paese il cui animo è profondamente onesto, ma io credo che la casta di dominatori che lo guida non sarà mai capace, nel corso della storia, di renderlo felice, perché essa ha distrutto totalmente la nostra fiducia nelle loro capacità di incivilire ed ha tolto alla Turchia, per sempre, il diritto all'auto-governo".(Armin T. Wegner)
“ I malati e i vecchi, nonché i bambini, cadevano lungo la strada per non più rialzarsi.Delle donne sul punto di partorire, erano obbligate sotto la minaccia delle baionette o della frusta d'andare avanti fino al momento del parto, poi venivano abbandonate sulla strada per morirvid'emorragia. Le ragazze più attraenti venivano ripetutamente violentate.E quelle che potevano si suicidavano.Delle madri divenute folli gettavano i loro figli nel fiume per porre fine alla loro sofferenza.Centinaia di migliaia di donne e di bambini soccombevano a causa della fame, della sete...
” Armin Theophil Wegner nasce a Wuppertal, in Germania nel 1886.Allo scoppio della prima guerra mondiale, è inviato in Medio Oriente come membro del servizio sanitario tedesco nel quadro dell’alleanza militare tra la Germania e la Turchia. Nel corso della campagna mesopotamica del 1915-1916, Wegner è testimone oculare del genocidio del popolo armeno, la prima pulizia etnica del XX secolo. Nonostante i divieti, scattacentinaia di fotografie nei campi dei deportati, raccoglie lettere di supplica per le ambasciate, invia missive in Germania, scrive un diario, raccoglie appunti e riesce a far giungere a destinazione parte del materiale. Scoperta la sua attività clandestina, nel novembre del 1916 è espulso dalla Turchia e richiamato in Germania, dove cerca di diffondere le notizie sulla tragedia degli armeni. Organizza conferenze e dibattiti; pubblica le lettere inviate alla madre e agli amici dal deserto di Deir es Zor nel libro intitolato ”La via senza ritorno”.Nel 1919 invia una lettera aperta al Presidente degli Stati Uniti, nella quale denuncia lo sterminio della nazione armena e auspica una patria per i sopravissuti. Nel 1933, all’indomani della serrata contro gli ebrei, indirizza ad Adolf Hitler una lettera di protesta contro i comportamenti antiebraici e antiumani del regime. Viene arrestato dalla Gestapo, torturato e incarcerato. Liberato, dopo varie peregrinazioni, si rifugia in Italia, dove risiede fino alla morte, nel 1978. Dopo il 1965 il suo ruolo di testimone del genocidio armeno e di difensore dei diritti dei popoli, degli armeni e degli ebrei, è riconosciuto a livello internazionale. Nel 1968 viene insignito del titolo di “Giusto tra le Nazioni” dallo Yad Vashem in Israele e dell’ordine di S. Gregorio, a Yerevan, capitale dell’Armenia, dove una strada porta il suo nome. Qui, nel 1996, le sue ceneri sono state tumulate nel "Muro della memoria".
Testimonianza del Console italiano Giovanni Gorrini che così scrisse: "Dal 24 giugno non ho più dormito nemangiato. Ero preso da crisi di nervi e da nausea al tormento di dover assistere all'esecuzione di massa di quegli innocenti ed inermi persone. Le crudeli cacce all'uomo, le centinaia di cadaveri sulle strade, le donne ed i bambini l'anima e quasi fanno perdere la ragione.""Nel 1914, quando ebbe inizio la prima guerra mondiale, i turchi vennero nel nostro villaggio, radunarono gli uomini armeni e li portarono via per arruolarli nell'esercito ottomano. Ma ci fu poi chi portò la notizia che, lungo la strada, li avevano uccisi tutti a colpi di accetta. Tra quegli uomini c'era anche mio padre".Mesrop Minassian aveva 4 anni nel 1914. Nato a Samsun in Anatolia, é uno dei sopravvissuti al genocidio che novant'anni fa si consumò in Turchia nel tentativo (quasi riuscito) di eliminare un intero popolo. La data simbolo é il 24 aprile 1915: ma in realtà il progetto era già iniziato nel 1894 col sultano Abdul-Hamid, che aveva organizzato battaglioni di curdi detti appunto hamidies e che, scrive Claude Mutafian, "sarebbero diventati la punta di diamante della repressione contro gli armeni". Ma se per l'impero ottomano battevano gli ultimi rintocchi della storia, furono poi i "Giovani Turchi" a riprendere in mano il progetto di sterminio con maggior vigore. L'uomo che vide il genocidio "Arrivarono -continua Mesrop -e ci fecero uscire tutti dalle case. Ragazze, donne, bambini: ci portarono tutti nel deserto. Così, come un agnellino, mi hanno strappato da mia madre. Mi misero sottoterra, mi seppellirono lasciando fuori solo la testa e si allontanarono dicendo 'Domani uccidiamo anche questo qui. Poi se andarono a scegliersi le ragazze più belle: quelle brutte le uccidevano o le gettavano nel fiume. Aprivano la pancia alle donne incinte, per vedere se il figlio era maschio o femmina. Alle ragazze vergini tagliavano i capezzoli, mentre alle donne tagliavano i seni e glieli mettevano sulle spalle. Io, dal buco dove ero interrato, vedevo tutto con i miei occhi". Mesrop é uno dei pochi che ha potuto raccontare quella tragedia. Tutto il resto è fatto di ricordi. Per molti versi simili. Gerard Chaliand, come Antonio Arslan, si sono affidati alla memoria e ai racconti che si facevano in famiglia. Yves Ternon o Vahakn Dadrian invece si sono basato su archivi, carte, documenti. Ma le testimonianze dirette di quanto accadde a ridosso della grande guerra, quando i "Giovani Turchi" inseguivano il sogno panturco (che prevedeva la pulizia etnica dei non turchi), restano i più vividi.A Mesropcapitò, dopo aver assistito alla tragedia di amici e parenti, di essere anche lui rapito: "Un turco che passava da quelle parti, sentì i miei lamenti. Venne, mi tirò fuori e mi portò a casa sua. Poi mi condusse dal mullah e mi fece circoncidere. Mi fecerostendere per strada, in mezzo al paese, in modo che chi passava vedesse che c'era un musulmano in più. Io rimasi con il mio padrone turco, badavo alle sue pecore. Mia madre era una donna molto bella ed era stata rapita da un altro turco. Il mio padrone ungiorno mi lasciò andare da lei, perché la vedessi: arrotolavano le foglie del dolma. Mi vide e non disse niente, fece finta di nulla: intinse soltanto una foglia nell'acqua e me la diede perché la mangiassi... Il mio padrone mi utilizzava come servo. Ognigiorno mi diceva: 'Infedele! Porta le pecore al pascolo e torna!'. Mi davano i compiti piu umili. Lui si accucciava per fare i suoi bisogni e poi mi diceva: 'Infedele! Porta una pietra e puliscimi il sedere!'. Un giorno tardai e si infuriò, prese una grossa pietra e me la voleva tirare intesta, ma la moglie si mise in mezzo e io mi salvai".E’ dovere di noi tutti effettuare nelle sue linee più ampie la realizzazione del nobile progetto di cancellare l’esistenza degli armeni che per secoli hanno costituitouna barriera la progresso e alla civiltà dell’Impero... Siamo criticati e richiamati ad essere pietosi; questa semplificazione è una sorta di ingenuità. Per coloro che non cooperano con noi troveremo un posto che stringerà la fibra dei loro cuori delicati".(Ministro dell’Interno Talaat, 18 novembre 1915).
"Il luogo di esilio di questa gente sediziosa è l’annientamento". (Ministro dell’Interno Talaat, 1 dicembre 1915).
" Dopo aver fatto inchieste, è risultato che solo il 10 per cento degli armeni soggetti a deportazione generale ha raggiunto i luoghi a loro destinati; il resto è morto di cause naturali, come fame e malattie. Vi informiamo che stiamo lavorando per avere lo stesso risultato riguardo quelli ancora vivi, usando severe misure”. (Abdullahad Nouri, 10 gennaio 1916).
"Il numero settimanale dei morti durante gli ultimi giorni non era soddisfacente". (Abdullahad Nouri Bey, 20 gennaio 1916.)
"...Senza ascoltare nessuna delle loro ragioni, rimuoverli immediatamente, donne, bambini, chiunque essi siano, anche se sono incapaci di muoversi; e non lasciate che la gente li protegga, perché con la loro ignoranza mettono al primo posto guadagni materiali piuttosto che sentimenti patriottici e non riescono ad apprezzare la grande politica del governo. Perché, invece di misure indirette di sterminio usate in altri luoghi, come severità, furia (per portare avanti le deportazioni), difficoltà di viaggio, miseria, possono essere usate misure più dirette da voi, perciò lavorate con entusiasmo..." ( Ministro dell’Interno Talaat, 9 marzo 1915).
"...La Jemiet (Assemblea) ha deciso di salvare la madrepatria dalle ambizioni di questa razza maledetta e di prendersi carico sulle proprie spalle patriottiche della macchia che oscura la storia ottomana. La Jemiet, incapace di dimenticare tutti i colpi e le vecchie amarezze, ha deciso di annientare tutti gli armeni viventi in Turchia, senza lasciarne vivo nemmeno uno e a questo riguardo è stato dato al governo ampia libertà d’azione..." (Comitato Unione e Progresso, 25 marzo 1915)
"Non è un segreto che il piano previsto consisteva nel distruggere la razza armena in quanto razza".(Leslee Davis, Console USA, 24 luglio 1915)
"Non vi è alcun dubbio che questo crimine sia stato pianificato ed eseguito per ragioni politiche".(Sir Winston Churchill)
"Credo che la storia della razza umana non comprenda un episodio terrificante come questo. Il grande massacro e le persecuzioni del passato sembrano insignificanti se comparate a quella della razza armena in 1915".(Henry Morghentau, Amb.USA in Turchia)
"Il governo turco si è reso colpevole di un massacro la cui atrocità eguaglia e supera qualsiasi altro che la storia abbia mai registrato".(George Cleménceau, Primo Ministro di Francia)
"...Gli armeni furono sospettati e sorvegliati dovunque, essi subirono una vera strage, peggiore del massacro. ...Fu una strage e carneficina d'innocenti, cosa inaudita, una pagina nera, con la violazione fragrante dei più sacrosanti diritti di umanità, di cristianità e di nazionalità... La questione armena non è morta. Anzi, essa risorge e si mantiene viva, perché la giustizia internazionale, anche se ritardi, ho fede che finirà per imporsi. Spero che l'auspicato avvenimento, o presto, o tardi, si realizzerà; e lo auguro di gran cuore; come spero e auguro che a ciò possa contribuire principalmente l'Italia".(Giacomo Gorrini, Console d'Italia in Trebisonda)
"Il massacro degli armeni è considerato come il primo genocidio del XX secolo" (Sottocommissione Diritti Umani dell'ONU, 1973) Durante la Prima Guerra Mondiale i massacri perpetrati dalla Turchia costituiscono crimini riconosciuti dall'ONU come genocidio. La Turchia è obbligata a riconoscere tale genocidio e le sue conseguenze". (Parlamento Europeo, 1987)
LA MASSERIA DELLE ALLODOLE
di ANTONIA ARSLAN
E COSI’, ORA DOPO ORA, GIORNO DOPO GIORNO, SI ATTUO’ LA MALEDIZIONE DEGLI ARMENI, ANCHE PER LE DONNE, I VECCHI, I BAMBINI DELLA PICCOLA CITTA’. OGNI GIORNO PORTO’ IL SUO ORRORE QUOTIDIANO, E OGNI GIORNO LA PENA SI ACCREBBE PER I SOPRAVVISSUTI, CHE SI TRASCINAVANO AVANTI PASSO DOPO PASSO, SEMPRE PIU’ MISERABILI, SEMPRE PIU’ MACILENTI, AFFRONTANDO OGNI GIORNO LA MORTE QUOTIDIANA."E ANCORA.."SEMINUDE, SPORCHE, AMMALATE, AFFAMATE, ABBACINATE DAL SOLE, CON LE TRECCE SUDICE LEGATE ALLA MEGLIO, CON I VESTITI A BRANDELLI E UN CENCIO IN TESTA, CAMMINARONO LE MADRI ARMENE, DI PAESE IN PAESE, COME LEBBROSE, COME APPESTATE: TENUTE FUORI DALLE CITTA’ CHE ATTRAVERSAVANO, GIACEVANO PER TERRA SENZA SAPERE SE AVREBBERO TROVATO LA FORZA PER RIALZARSI, IN QUEL FOSCO INDOMANI SENZA SPERANZA E SENZA ESITO, STREGATE DALLA SVENTURE: CAMMINANDO, AVANTI, SENZA PIU’ SAPERE PERCHE’, TRANNE IL BISOGNO PRIMITIVO, ANIMALE, DI GIACERE, ALLA SERA, ACCANTO AI LORO BAMBINI.""Per quanto orribile sia l'ampiezza del male, c'è sempre qualcuno che si schiera dalla parte del bene, come i tre disperati che interferiranno sulla macchina del male per salvare i quattro bambini e farli arrivare in Italia. Non c'è una sola parola d'odio verso il Popolo Turco in questo libro perché anch'esso è stato maltrattato e continua ad esserlo oggi. Ricordo lo scrittore Turco Orhan Pamuk che rischia tre anni di carcere per aver sostenuto che l'Impero Ottomano ha sterminato un milione di armeni e trentamila curdi nel 1915. Sono gli stessi Turchi ad affermare "E'inutile che ci nascondiamo, il genocidio c'è stato."
Il consuntivo numerico del GENOCIDIO DEGLI ARMENI
da 1.000.000 a 1.500.000 di armeni vengono eliminati nelle manieri più atroci. In pratica i due terzi della popolazione armena residente nell'Impero Ottomano è stata soppressa e, regioni per millenni abitate da armeni, non vedranno più, in futuro, nemmeno uno di essi.
circa 100.000 bambini vengono prelevati da famiglie turche o curde e da esse allevati smarrendo così la propria fede e la propria lingua.
considerando tutti gli armeni scampati al massacro il loro numero non supera le 600.000.
Documentazione fotografica sul genocidio armeno
Foto 1: una colonna di sfollati armeni. Foto 2: scheletri armeni ritrovati nel deserto di Der-el-Zor
Foto 1: un gruppo di martiri armeni Foto 2: l'impiccagione di alcuni esponenti della comunità armena
Foto 1: tre militari turchi posano mostrando due teste di decapitati armeni Foto 2: una donna ed un bimbo nel deserto di Der-el-Zor
Foto 1: tre uomini armeni appesi ad un ponte Foto 2: "trofei" di guerra turchi
Foto 1: una fossa comune Foto 2: una fossa comune
Foto 1: un bambino armeno. Foto 2: una madre con i suoi due bambini tutti morti di fame
Foto 1: un gruppo di deportati armeni. Foto 2: vittime armene
Foto 1: una momento della deportazione. Foto 2: un altro gruppo di assassinati
Foto 1: omicidio di massa Foto 2: un altro momento della deportazione
Foto 1: un bambino armeno Foto 2: teste di decapitati armeni esposte su pali
Foto 1: impiccagione di gruppo Foto 2: resti umani in una fossa comune
Foto 1: un gruppo di bambini deportati Foto 2: deportati nel sonno
Foto 1: vittime del genocidio Foto 2: un gruppo di orfani
Foto 1: un gruppo di sfollati Foto 2: i resti delle vittime in una fossa comune
Foto 1: una delle tante colonne di deportati dirette in pieno deserto
Foto 1: militari turchi posano accanto ai corpi di alcune vittime
Il Messaggero (Roma) del 25 agosto 1915
«Degli oltre 14.000 armeni legalmente residenti a Trebisonda all'inizio del 1915 il 23 luglio dello stesso anno non ne rimanevano in vita che 90. Tutti gli altri, dopo essere stati spogliati di ogni avere, erano stati, infatti, deportati dalla polizia e dall'esercito ottomani in lande desolate o in vallate dell'entroterra e massacrati dal 24 giugno, giorno della pubblicazione dell'infame decreto, fino al 23 luglio, giorno della mia partenza da Trebisonda, io non avevo dormito: non avevo mangiato piú, ero in preda ai nervi, alla nausea, tanto era lo strazio di dover assistere ad una esecuzione in massa di creature inermi, innocenti. Il passaggio delle squadre degli armeni sotto le finestre e davanti la porta del consolato, le loro invocazioni al soccorso senza che né io né altri potessimo fare nulla per loro, la città essendo in stato d'assedio, guardata in ogni punto da 15mila soldati in pieno assetto di guerra, da migliaia di agenti di polizia, dalle bande dei volontari e dagli addetti del comitato Unione e Progresso; i pianti, le lacrime, la desolazione, le imprecazioni, i numerosi suicidi, le morti subitanee per lo spavento, gli impazzimenti improvvisi, gli incendi, le fucilate in città, la caccia spietata nelle case e nelle campagne; i cadaveri a centinaia trovati ogni giorno sulla strada dell'internamento, le giovani donne ridotte a forza musulmane o internate come tutti gli altri, i bambini strappati alle loro famiglie o alle scuole cristiane e affidati per forza alle famiglie musulmane, ovvero posti a centinaia sulle barche con la sola camicia, poi capovolti e affogati nel mar Nero o nel fiume Dére Méndere, sono gli ultimi incancellabili ricordi di Trebisonda, ricordi che, ancora, a un mese di distanza, mi straziano l'anima, mi fanno fremere».
Ambassador Morghentau's Story, Sterndale Classics, London, 2003
«Alla partenza, questi disgraziati assomigliavano ancora a degli esseri umani, ma dopo qualche giorno, quando la polvere della strada aveva imbiancato le facce e i vestiti, e il fango si era indurito sulle gambe e sui piedi, distrutti dalla fatica e annichiliti dalla brutalità dei loro "protettori", avevano l'aria di animali strani e sconosciuti. Durante circa sei mesi, dall'aprile all'ottobre del 1915, quasi tutte le grandi vie dell'Asia Minore erano intasate da queste orde di esiliati. Si poteva vederle affollare le valli, o scalare i fianchi di quasi tutte le montagne, marciando e marciando sempre senza sapere dove, se non che ogni sentiero conduceva alla morte. Villaggi dopo villaggi, città dopo città, furono spogliati della loro popolazione armena, in condizioni simili.
Durante questi sei mesi, da quanto si può sapere, circa 1.200.000 persone furono indirizzate verso il deserto della Siria. "Pregate per noi", dicevano, abbandonando i focolari che 2.500 anni prima avevano fondato i loro avi. "Non torneremo mai piú su queste terre, ma noi ci ritroveremo un giorno. Pregate per noi!". Avevano appena abbandonato il suolo natale che i supplizi cominciavano; le strade che dovevano seguire non erano che dei sentieri per muli dove procedeva la processione, trasformata in una ressa informe e confusa. Le donne erano separate dai bambini, i mariti dalle mogli. I vecchi restavano indietro esausti, i piedi doloranti. I conduttori dei carri trainati dai buoi, dopo avere estorto ai loro clienti gli ultimi quattrini, li gettavano a terra, loro e i loro beni, facevano dietro front e se ne tornavano ai villaggi, alla ricerca di nuove vittime. Cosí, in breve tempo, tutti, giovani e vecchi, si ritrovavano costretti a marciare a piedi; e i gendarmi che erano stati inviati, per cosí dire, per proteggere gli esiliati, si trasformavano in veri carnefici. Li seguivano, baionetta in canna, pungolando chiunque facesse cenno di rallentare l'andatura. Coloro i quali cercavano di arrestarsi per riprendere fiato, o che cadevano sulla strada morti di fatica, erano brutalizzati e costretti a raggiungere al piú presto la massa ondeggiante. Maltrattavano anche le donne incinte e se qualcuna, e ciò avveniva spesso, si accovacciava ai lati della strada per partorire, l'obbligavano ad alzarsi immediatamente e a raggiungere la carovana. Inoltre, durante tutto il viaggio, bisognava incessantemente difendersi dagli attacchi dei musulmani. Distaccamenti di gendarmi in testa alle carovane partivano per annunciare alle tribú curde che le loro vittime si avvicinavano e ai paesani turchi che il loro desiderio finalmente si realizzava. Lo stesso governo aveva aperto le prigioni e rilasciato i criminali, a condizione che si comportassero da buoni maomettani all'arrivo degli armeni.
Cosí ogni carovana doveva difendere la propria esistenza contro piú categorie di nemici: i gendarmi di scorta, i paesani dei villaggi turchi, le tribú curde e le bande di cetè o briganti. Senza dimenticare che gli uomini che avrebbero potuto proteggere questi sfortunati erano stati tutti uccisi o erano stati arruolati come lavoratori, e che i malcapitati deportati erano stati sistematicamente spogliati delle armi. A qualche ora di marcia dal punto di partenza, i curdi accorrevano dall'alto delle loro montagne, si precipitavano sulle ragazze giovani e, spogliandole, stupravano le piú belle, come pure i bambini che piacevano loro, e rapinavano senza pietà tutta la carovana, rubando il denaro e le provvigioni, abbandonando cosí gli sfortunati alla fame e allo sgomento»
Una bambina morta durante la marcia forzata di donne e bambini armeni nel deserto(Siria, 1915-1916, fotografia di Armin Theophil Wegner, ufficiale medico tedesco) |
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